Giuditta e Oloferne: genio e passione tra Caravaggio e Artemisia

Nel 1599 circa Caravaggio (Milano, 1571 – Porto Ercole, 1610) dipinge un quadro – oggi conservato nelle Gallerie di Palazzo Barberini a Roma – destinato a rivoluzionare il modo di interpretare un diffuso tema biblico: Giuditta, una giovane vedova ebrea, con un atto di grande coraggio riesce a salvare il suo popolo dall’assedio dell’esercito del re assiro Nabucodonosor, accampato a Betulia, alle porte di Gerusalemme. Fingendosi alleata del nemico, la donna riesce a farsi ammettere nell’accampamento e qui, dopo un fastoso banchetto, decapita con le sue mani con una spada il generale Oloferne, aiutata da un’ancella. Caravaggio inaugura un modo cruento e spettacolare di rappresentare la scena, valorizzando il contrasto tra vita e morte e l’eroico coraggio della donna, apparentemente fragile ma in realtà dotata di forza e determinazione; a queste doti si rifà l’altra grande interprete del tema, Artemisia Gentileschi, che trasfonde nella pittura il dolore del suo dramma personale.

Le stampe qui esposte traducono il soggetto secondo quattro interpretazioni diverse ma coeve a Caravaggio, che ci accompagnano a scoprire il racconto biblico nelle sue varie sfaccettature.

Antonio Tempesta (Firenze, 1555 – Roma, 1630), inventore e incisore
Giuditta e l’ancella nascondono la testa di Oloferne
Acquaforte
1613


Cristofano Allori (Firenze, 1577 – 1621), inventore
Saverio Pistolesi (notizie metà sec. XIX), disegnatore e incisore
Giuditta con la testa di Oloferne
Acquaforte
1850 circa

La stampa, un tempo contenuta nel volume Album pittoresco disegnato ed inciso da Saverio Pistolesi dedicato alla maestà di Vittorio Emanuele II re d’Italia, riproduce il dipinto più famoso del pittore fiorentino, oggi conservato a Palazzo Pitti (attualmente esposto alla mostra in corso a Roma) e realizzato tra il 1610 e il 1612. Secondo una credenza popolare la testa del decapitato avrebbe le fattezze di Cristofano stesso, mentre la bella Giuditta sarebbe l’amante del pittore: la giovane, che fissa lo sguardo su di noi, per nulla turbata dall’orrore del gesto e dalla testa mozzata che gronda sangue, indossa abiti sontuosi, omaggio alla fiorente industria tessile di Firenze.



Domenichino (Bologna, 1581 – Napoli, 1641), inventore
Domenico Cunego (Verona, 1724 o 1725 – Roma, 1803), disegnatore e incisore
Pietro Paolo Montagnani (Roma, 1785 – 1834), stampatore
Giuditta a Betulia
Bulino e acquaforte
Fine XVIII secolo

L’incisione rappresenta una iconografia meno nota del tema di Giuditta con la testa mozzata di Oloferne: si tratta del momento in cui la giovane – rientrata nel suo paese natale con la testa del generale nemico – mostra un ramoscello d’ulivo simbolo della pace ottenuta. Accanto alla testa, poggiata su un piano, si intravede la spada con cui Giuditta ha agito. Il quadro originale, dipinto dal Domenichino, era conservato a fine Settecento presso il vescovo di Anversa Cornelius Franciscus de Nelis, come riporta l’iscrizione. La stampa è stata realizzata a Roma dallo stampatore Montagnani, la cui bottega era presso la celebre statua di Pasquino.